La qualità del discepolato ai tempi di Gesù

24.09.2013 16:36

In Israele, la chiamata ad essere discepolo di un maestro significava spesso lasciare famigliari ed amici e percorrere il paese sotto condizioni austere. Voleva anche dire impegno totale. Un futuro discepolo doveva prima di tutto essere sicuro quali fossero le sue priorità

Consideriamo le parole dell’uomo che disse a Gesù: «Signore, io ti seguirò, ma permettimi prima di congedarmi da quelli di casa mia» (Luca 9:61). La risposta di Gesù mostra che solo quelli che erano preparati ad affidarsi completamente a lui sarebbero stati i benvenuti: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Luca 9:62).

Questo è sottolineato nella risposta di Gesù ad un altro uomo che si è offerto di seguirlo, ma solo dopo aver “seppellito il padre”: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti», gli rispose Gesù (Luca 9:60; Mat.8:22).

Le risposte di Gesù erano evidentemente dirette a persone invitate a lasciare la loro casa per servire in una sorta di apprendistato a tempo pieno con lui. Questa forma di discepolato era una caratteristica univoca dell’antica società ebraica.

Sacrificio

Secondo la letteratura rabbinica (Peah 1:1), ci sono certe cose, come per esempio onorare il padre e la madre, dalle quali una persona “trae beneficio” in questo mondo, mentre altre sono per il mondo a venire. “Ma”, il passo continua, “lo studio della Torah vale sia per l’una che per l’altra cosa”. Gesù ha detto qualcosa di simile: per quanto importante sia rispettare i genitori, lasciare la propria casa per studiare Torah con lui era ancora più importante.

Per l’uomo ricco citato in Luca 18, la chiamata a seguire Gesù significava rinunciare a tutta la sua ricchezza. Il prezzo era troppo alto per lui e non divenne un discepolo di Gesù. Pietro, con l’occasione, ha ricordato a Gesù che lui e gli altri avevano accettato la sua chiamata: «noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito».

“Amen”! disse Gesù con altre parole, “Sì, voi avete fatto ciò che è lodevole”. Gesù ha continuato dicendo che chi avesse fatto il sacrificio di impegnarsi totalmente per la causa del regno di Dio, avrebbe ricevuto qualcosa dal valore molto più grande di quello a cui aveva rinunciato, e la vita eterna nel mondo a venire (Luca 18:28-30).

 

Impegno

 

Gesù non voleva che i suoi eventuali discepoli andassero incontro a false aspettative ed ha spesso sottolineato la necessità di calcolare bene il costo prima di prendere un impegno con lui:

«Chi di voi infatti, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolarne il costo, per vedere se ha abbastanza per portarla a termine? Così dunque, ognuno di voi che non rinunzia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo» (Luca 14:28,33).

 

Gesù era molto chiaro riguardo al grado d’impegno richiesto al suo discepolo:

«Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. E chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo» (Luca 14:26,27).

 

In questo contesto la parola «odio» non ha il significato che normalmente ha in italiano, ma è utilizzato in senso ebraico. In ebraico «odio» può anche voler dire «amare di meno» o «mettere al secondo posto». Ad esempio, Gen.29:31 dice che Lea era «odiata» (vedi Riveduta), ma il contesto indica non che Lea era odiata, ma che era amata meno dell’altra moglie di Giacobbe, Rachele. Notiamo che nel verso precedente viene detto specificatamente che Giacobbe ha amato Rachele più di Lea.

 

In Deut.21:15 troviamo un secondo esempio di questo significato particolare della parola «odio»: «Se un uomo ha due mogli, l’una amata e l’altra odiata…». Anche qui, il contesto mostra che la moglie «odiata» è seconda nell’affetto e non realmente odiata nel nostro senso della parola. Così è nella dichiarazione di Gesù, egli diceva che chiunque non l’avesse amato più della propria famiglia o anche più della propria vita, non poteva essere suo discepolo.

 

Gesù ha anche fatto riferimento al tipo di vita rigoroso che lui teneva quando ha detto: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi; ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Luca 9:58). Il peso che i discepoli di Gesù dovevano portare era pesante, ma era più o meno simile a quello di tanti altri maestri, e non sarebbe stato considerato una cosa estrema dalla società giudaica di quei tempi. Era molto più rigoroso lo stile di vita che facevano gli Esseni.                                                                                                                                                                                                                   Un’altra privazione che un discepolo poteva affrontare era l’allontanamento dalla propria moglie. I discepoli stavano generalmente da soli, ma siccome il matrimonio avveniva in età abbastanza giovanile (di solito ci si sposava a partire diciotto anni secondo Mishnah Avot 5:21) molti discepoli avevano moglie e figli. Ad esempio, la suocera di uno dei discepoli (Pietro) di Gesù è menzionata in Luca 4:38. Se sposato, un uomo doveva avere necessariamente l’autorizzazione di sua moglie per lasciare la casa per più di trenta giorni per poter studiare con un maestro (Mishnah, Ketubot 5:6).

 

Come un padre

Malgrado le molte privazioni, non c'era niente da paragonare all’allegrezza di seguire ed apprendere da un grande maestro e far parte della cerchia dei suoi discepoli. Un rapporto speciale si sviluppava tra maestro e discepolo, nel quale il maestro diventava come un padre. Infatti egli era più che un padre e doveva essere onorato più che il proprio padre, come indica il seguente passo della Mishnah:“                                                                                                                                                         Quando uno si mette alla ricerca di qualcosa che è stato perso, sia di suo padre che del suo maestro, la ricerca di ciò che ha perso il maestro ha la precedenza sopra quella di suo padre perché suo padre lo ha portato alla vita di questo mondo, mentre il suo maestro, che gli insegna la sapienza (cioè la Torah), lo porta alla vita del mondo a venire. Ma se suo padre non è meno studioso del suo maestro, allora la cosa persa da suo padre ha la precedenza…                                                                                               Se suo padre e il suo maestro sono schiavi, egli deve prima riscattare il suo maestro, e dopo il padre, a meno che il padre è egli stesso uno studioso e quindi deve riscattare prima suo padre (Baba Metsi'a 2:11).

 

Se sembra sconvolgente che si possa riscattare il proprio insegnante prima del proprio padre, è solo perché non si riesce a comprendere il grande amore ed il rispetto che i discepoli, e la comunità in generale, avevano per i loro maestri.

 

Allo stesso modo, può sembrare crudele che Gesù non permettesse ad un eventuale discepolo di dire addio alla sua famiglia prima di seguirlo. Tuttavia, sarebbe stato abbastanza ragionevole e normale per i contemporanei di Gesù. Sarebbe stato perfettamente chiaro per loro quello che Gesù voleva dire con le parole, «Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».

 

 


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